Non dispongo dei sofisticati strumenti analitici propri degli illustri costituzionalisti che hanno aperto questa Tribuna. Le mie basi culturali, in argomento, stanno tutte in quel “L’Ordinamento Repubblicano”, raccontato agli studenti di economia di Ca’ Foscari da Feliciano Benvenuti alla fine degli anni ‘60. Un libro, ed un corso, che tratteggiava le speranze riposte in una Repubblica arricchita dalle sinergie tra Stato, Regioni ed Autonomie locali. Sarà per questa carenza di cultura specifica che:
- non trovo particolarmente rilevante la dialettica italiana tra Stato ed autonomie letta nel contesto dei problemi drammatici di contrasto alla pandemia da covid-19.
- né mi sembra che le modalità di questo difficile allineamento – vi includo l’annullamento da parte del Tar del provvedimento della Regione Calabria di anticipata uscita dal confinamento di bar, pizzerie e ristoranti contestato dallo Stato – mettano seriamente in discussione il concetto di unità nazionale ed il suo valore.
Mi pare paradossale che ci si concentri sulla “pagliuzza” degli sfridi operativi tra Stato e Regioni senza considerarne l’oggettiva dipendenza dalla “trave” dei disallineamenti politici, organizzativi ed operativi a scala globale, ma anche regionale europea, che hanno inciso e continueranno ad incidere ben più pesantemente sulla crisi in corso. È nel modo nel quale lo Stato ha agito ed agisce a quelle scale – o in supplenza delle stesse – che, forse, si annida la causa che spiega, anche se non giustifica, qualche insofferenza regionale rispetto all’azione e al coordinamento statale.
È evidente che una pandemia, cioè una epidemia che mette a rischio ogni abitante del pianeta, avrebbe avuto bisogno di un governo globale del suo contrasto; o, in subordine per noi, di un maggior coordinamento europeo.
Il fatto che ogni Stato abbia fatto da sé è causa non secondaria di un eccesso di vite umane perdute e di capacità produttiva distrutta.
Costi umani, sociali ed economici che però, anche nella situazione data, avrebbero potuto essere minori in Italia se solo, senno di poi, ci fossimo preparati allo scoppio della pandemia da covid-19 come le democrazie della regione Asia-Pacifico (Corea del Sud, Taiwan, Giappone, Australia, etc.) con: 1) una comunicazione non ambigua circa i rischi e la necessità del distanziamento sociale, in assenza di vaccini e cure efficaci; 2) una organizzazione della individuazione, protezione e cura dei primi contagiati; 3) un tracciamento immediato dei loro contatti, efficace perché assistito dai migliori algoritmi di intelligenza artificiale, da sottoporre a cascata al TTT (test, trace and treat: esamina, traccia e cura); 4) la predisposizione di una capacità adeguata di strutture ospedaliere e personale sanitario specializzati (necessità inversamente proporzionale al successo della strategia TTT).
Una adozione tempestiva di questa strategia avrebbe avuto anche una importante conseguenza sul piano dei costi economici del covid-19: riduzione a pochi giorni della fase 1 di lockdown, di confinamento totale, ed applicazione selettiva di confinamenti mirati, anche in senso spaziale (ad esempio, più stringente nelle aree urbane ad alta densità insediativa che non nel resto del Paese) nella fase 2, di convivenza con il virus.
Purtroppo poco di questo è già accaduto nel nostro paese, o sta accadendo con troppa lentezza. Con poche eccezioni, virtuose regionali: quella del Veneto su tutte. Non so quanto siano costati i ritardi nella applicazione del lockdown in termini di vite umane; di certo, come ha stimato Goldman Sachs, il nostro, lockdown totale ed esteso a tutto il Paese, sarebbe costato una caduta del 25% del PIL contro il 10% di quello della Corea del Sud, parziale perché selettivo.
È inevitabile che in queste condizioni quelle Regioni alle quali è stato imposto un costo di lockdown sproporzionato o quelle che si sono già attrezzate per contrastare il virus in modo più sofisticato – e quindi compatibile con un allentamento del confinamento –soffrano delle lentezze imposte dalla oggettiva carenza statale di capacità organizzative ed operative rispetto alle esigenze ed alle attese. Lentezze che possono divenire drammatiche nella fase 2, di cosiddetto rilancio; o addirittura catastrofiche qualora lo Stato non riuscisse a guadagnarsi il necessario spazio finanziario a livello europeo.
È questo quadro di incertezze, di preoccupazioni crescenti, che cumulano i timori per la propria vita con quelli per la propria sopravvivenza economica, che porta famiglie ed imprese a cercare risposte ad ogni livello di governo: a quello statale che ha il diritto-dovere di darle, ma anche a quelli regionali e locali che non possono non esser tentati di darle in proprio quando quelle statali non vengono.
Queste “fughe in avanti” regionali possono far temere per l’unità nazionale? Siamo di fronte ad un disconoscimento regionale del ruolo guida dello Stato nell’ordinamento costituzionale repubblicano? Non mi sembra proprio.
Abbiamo conosciuto altre stagioni nelle quali la dialettica stato nazionale-regioni ha avuto l’unità nazionale come posta in gioco. In maniera esplicita, nei primi anni ‘90 delle aspirazioni secessioniste di alcune aree del Nord e, volendo essere maliziosi, anche nel più recente dibattito sulla cosiddetta autonomia differenziata. Ma oggi no. Il disallineamento regionale è paradossalmente, al contrario, segno di una domanda di maggior efficacia dell’esercizio del potere statale di coordinamento interno di Regioni ed Autonomie e di rappresentanza esterna in quella sede europea dove si decideranno quantità e qualità del rilancio. L’unità nazionale in tempi di pandemia si rafforza rendendo tempestiva ed adeguata l’azione dello Stato. A risposte statali efficaci nessuna Regione avrà nulla da obiettare.
Firenze, 10 maggio 2020
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