Dinanzi ad un evento tragico le società nazionali spesso ritrovano una unità di intenti in particolare sugli strumenti da adottare per lenire le sofferenze di tanti e sconfiggere l’evento calamitoso, fosse un terremoto, una pandemia o una crisi economica devastante. Una risposta unitaria testimonia la salute di un paese e la sua capacità di togliere dall’agenda politica, sociale ed economica tutto ciò che divide per concentrarsi sul pericolo imminente che corrono le comunità locali e/o i singoli.
L’Italia conobbe questa meravigliosa esperienza nell’immediato dopoguerra non solo nei primi due anni ma, in qualche maniera, anche quando il governo di unità nazionale si ruppe ed il Partito Comunista andò all’opposizione. Anche dall’opposizione, infatti, si può tessere un fondo di unità nazionale quando sono in gioco interessi fondamentali della Repubblica la cui tenuta sta a cuore ad ogni partito, vuoi di maggioranza che di opposizione.
Fu ciò che avvenne nel 1976 nel pieno di una crisi politica ed economica (per avere un prestito dalla Bundesbank dovemmo dare in pegno l’oro della Banca d’Italia) quando il terrorismo brigatista puntava a sovvertire l’ordine democratico. In quel momento i tre partiti DC, PCI e PSI rappresentavano insieme oltre l’80% dei voti in una fase in cui i votanti erano l’85% degli aventi diritto. In quella occasione i due maggiori partiti, prendendo atto che nessuno voleva governare con la DC ma i suoi tradizionali alleati non volevano neanche governare con il PCI, trovarono il modo di proseguire la legislazione con un governo monocolore del partito di maggioranza relativa con una unità di intenti che si realizzava nel Parlamento ma non nel governo. Quella unità politica sorti l’effetto di porre le basi per sconfiggere il terrorismo e superare la crisi economica e la DC pagò con il sangue di Moro la salvezza del paese. Dopo tre anni si tornò al gioco democratico di maggioranza ed opposizione che caratterizzò tutti gli anni Ottanta, ma quella unità sperimentata negli ultimi anni Settanta aveva talmente irrobustito il paese che sopportò lo scontro durissimo sulla scala mobile alla metà degli anni Ottanta ed il conseguente referendum che divise per un momento il paese senza che restasse alcuna frattura della tenuta istituzionale.
Abbiamo fatto una rapida carrellata di ciò che fu solo per dire che oggi quelle condizioni politiche e sociali che sostennero l’Unità del paese non ci sono più. Quel che oggi appare come uno spirito unitario della società italiana altro non è che l’unità della paura. La paura del contagio, della malattia, dell’affanno e della possibile morte. Terminata questa paura ci troveremo dinanzi ad uno Stato sgangherato e disarticolato dopo 25 anni di una politica lideristica, priva di ogni cultura ed in preda ad una ossessione di dover essere tutti contro tutti perché è il litigio che garantisce una identità perduta con il trionfo di un marketing da supermercato. Venticinque anni in cui le grandi questioni del paese, la trasformazione del capitalismo di mercato in un capitalismo finanziario devastante che alimentava disuguaglianze sociali mai viste prima, le mutazioni del quadro geopolitico, il disordine ordinamentale dello Stato, ha portato i protagonisti politici ad azzuffarsi eternamente mentre l’Italia occupava stabilmente uno degli ultimi posti della Eurozona per tasso di crescita, la povertà raddoppiava ed il debito pubblico in valore assoluto si triplicava. Chi era andato al potere, intanto, metteva mano alla vendita spesso anche sottocosto delle grandi eccellenze italiane seguendo pedissequamente l’impegno assunto con chi ne aveva favorito una scalata al governo del paese e quel pensiero unico liberista che prevedeva il ritiro completo dello Stato dalla economia reale che Francia e Germania hanno assolutamente contrastato. A quella unità delle società regionali di oggi contro il coronavirus risponde, però, una permanente polemica tra regioni e governo a testimonianza che le divisioni galoppano sotto traccia ed esploderanno quando si tratterà di affrontare il tema del rilancio della nostra economia che boccheggia da un quarto di secolo con dati sociali contrastanti. Per capire a cosa ci riferiamo basta ricordare che nel 2019 la crescita economica del paese è stata si appena del 0,3% mentre il risparmio degli italiani nello stesso anno ha raggiunto la cifra di 83 miliardi di euro, segno inequivocabile che molte cose non funzionano da tempo.
Perché dunque noi riteniamo che in Italia le esperienze del passato non saranno più praticabili? Perché non c’è più una politica che guida la società ma la insegue e questa anomalia nasce dal fatto che l’intero sistema politico ha smarrito ogni riferimento culturale. In ogni paese europeo i governi e le opposizioni sono garantiti di volta in volta dai popolari o cristiano-democratici che dir si voglia, dai socialisti, dai liberali e dai verdi che insieme costituiscono l’ossatura dei diversi sistemi politici. Da noi nessuna di queste culture è rappresentata e i nostri partiti non hanno omologhi nei paesi della Unione Europea dove non esistono forza Germania o fratelli francesi o lega spagnola o partiti democratici come il nostro che volendo unire due grandi culture le hanno smarrite entrambe. Senza cultura di riferimento i partiti sono senza identità e non trasmettono al paese quel senso di appartenenza fondamentale per alimentare quella unità nazionale di cui il paese in alcuni frangenti avrebbe assoluto bisogno. E così facendo i partiti diventano comitati elettorali lasciando il posto ai liderismi di turno che svuotano di democrazia gli stessi partiti che li hanno partoriti. Una società guidata da personalismi tutto potrà vedere tranne che una strada comune nelle fasi di grande pericolo sanitario, economico e finanziario con il forte rischio di una irreparabile rottura della coesione sociale. Il silenzio degli intellettuali italiani, salvo rare eccezioni, aggrava questo quadro politico del paese perché nessuno ha il coraggio di affrontare un interrogativo drammatico: perché dopo la caduta del muro di Berlino e la crisi irreversibile del comunismo internazionale nella sola Italia sono scomparse tutte le altre culture che governano ancora oggi il Parlamento europeo e gli Stati membri? L’attuale classe dirigente purtroppo non è nelle condizioni di ragionare su questo tema fondamentale perché protagonisti dello stato attuale della Repubblica e dovremo attendere che arrivino energie nuove e libere per evitare che l’Italia scivoli sempre più in un ruolo di colonia di consumatori e di produttori per conto terzi.
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