Tribuna

Marco Simoni

Stato e mercato: lezioni della pandemia

 

La pandemia ci ha costretto a un rapido adattamento dei nostri stili di vita e delle nostre abitudini. Ha anche definitivamente mostrato la fragilità del dibattito pubblico tra “statalisti” e “mercatisti” che fin, dalla crisi finanziaria del 2008, ha caratterizzato molte conversazioni con toni e contenuti che apparivano già allora fuori dal tempo, e oggi appaiono completamente inservibili.

In questi mesi così difficili abbiamo assistito a uno dei più spettacolari risultati della storia umana, paragonabile, per complessità e audacia, al raggiungimento della Luna nel 1969. Un risultato che forse solo la ubriacatura di spettacolarizzazioni continue ci ha impedito di cogliere fino in fondo: mi riferisco ai vaccini che in queste settimane stanno raggiungendo le nostre popolazioni.

Un anno fa, nel giro di pochissime settimane, il mondo era preda di un virus sconosciuto, che generava dei sintomi nuovi e che conduceva a moltissimi morti. Un anno dopo non solo abbiamo un vaccino, anzi più vaccini preparati da diverse case farmaceutiche e altri sono in arrivo, ma ne abbiamo anche già prodotti centinaia di milioni di dosi, dopo aver passato le verifiche sperimentali e burocratiche necessarie a consentirci di assumerlo in sicurezza e completa fiducia. Questo straordinario risultato è opera del lavoro sincronizzato di centinaia di migliaia di persone, dal primo scienziato all’ultimo responsabile del dosaggio e della logistica delle fiale individuali con cui viene distribuito, persone sparpagliate in tutto il mondo e dalle nazionalità più diverse.

A ben vedere questo risultato non è il prodotto dello Stato, che senza l’efficienza, la preparazione e la flessibilità delle grandi aziende farmaceutiche non sarebbe mai stato in grado di preparare laboratori con le competenze necessarie, le catene sperimentali e logistiche necessarie per la messa a punto e la produzione. Ma non è neanche il risultato del libero mercato, che mai avrebbe potuto raccogliere in così breve tempo i capitali necessari a un investimento così ingente e dal risultato incerto; e non avrebbe potuto garantire il livello di consenso e fiducia nella popolazione, che è l’ingrediente fondamentale per poter vaccinare così tante persone in poche settimane.

Detto altrimenti, l’umanità ha raggiunto questo risultato senza le armi logore di ideologie astratte, ma con la concretezza operativa di chi riconosce la capacità allocativa del mercato – la mano invisibile che distribuisce le risorse in maniera efficiente per massimizzare il risultato – mentre, allo stesso tempo, conosce l’importanza e la forza unica delle istituzioni pubbliche che rappresentano i cittadini tutti uguali, e che operano perché questa uguaglianza sia affermata là dove conta, laddove la sua affermazione sia necessaria a rinnovare e rinsaldare il patto di convivenza civile.

Io credo che nel ridisegnare e ricomprendere i confini tra Stato e Mercato, questi mesi ci insegnano che le parti più importanti e su cui forse vale la pena di concentrarsi siano quelle in cui essi si sovrappongono, in cui sono in grado di lavorare assieme. Quando ciò accade si riesce a massimizzare quella “quadratura del cerchio”, come diceva Ralf Dahrendorf, tra libertà e uguaglianza che è al cuore della ragione d’essere delle nostre democrazie.

L’esperienza di questi ultimi mesi non potrebbe dunque essere più lontana da chi, per ragioni più varie, sceglie di esercitarsi in una discussione parziale sui meriti o limiti di queste forme dell’organizzazione umana. Per molti anni, precedenti alla grande crisi, una illusione si era accompagnata alla globalizzazione, l’idea che l’autogoverno dei mercati e attraverso loro dei popoli sempre più simili e senza confini, potesse sostituirsi definitivamente alle organizzazioni rappresentative, per loro natura parziali e fortemente legate alle identità nazionali. Il brusco risveglio della crisi finanziaria e dell’onda anti-sistema (come ben spiegato dall’ultimo libro del politologo della London School of Economics Jonathan Hopkin) hanno spinto il pendolo nella direzione opposta, così che la reazione alla pandemia, in Italia ma anche altrove, è stata finora tutta segnata dall’illusione che lo Stato possa arrivare ovunque e proteggere oltre che il presente nello stato di emergenza – come è doveroso – anche il futuro, come chiaramente non è possibile.

È arrivato il tempo allora, assumendo fino in fondo la “lezione dei vaccini”, di riflettere a come le grandi risorse che le nostre società hanno deciso di spendere per favorire la ripresa economica e sociale, possano massimizzare le potenzialità di modo che l’iniziativa privata, individuale, familiare e collettiva, possa nuovamente essere motore fondamentale della crescita e del benessere.

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