Tribuna

Luca Longhi

1. La scena politica, istituzionale ed economica, ancor più alla luce della pandemia in corso, impone un ripensamento del rapporto tra Stato e mercato rispetto alla configurazione che lo stesso era andato ad assumere negli ultimi decenni.

L’emergenza che a vari livelli ci attanaglia invoca nuove forme di intervento pubblico, essendosi dimostrate insufficienti, alla prova dei fatti, molte delle risposte apprestate nel quadro della costituzione economica vigente, instaurata per effetto dei Trattati europei.

Basti pensare alla disciplina restrittiva in tema di aiuti di Stato, che non si è dimostrata complessivamente funzionale alla crescita delle nostre imprese e alla tutela dell’occupazione.

La stessa concorrenza, principio-cardine del diritto pubblico degli ultimi trent’anni, ha finito per rivelarsi spesso un’utopia e non certo quel fattore di democrazia economica che prometteva di essere, nell’ambito di un tessuto sociale oggettivamente impoverito, crisi dopo crisi.

Non era questo il contesto di benessere e progresso che immaginavamo all’alba del processo di integrazione comunitaria, quando le premesse e le speranze erano ben altre.

2. A ben vedere, la nostra Costituzione, in tema di rapporti economici, sarebbe tutt’ora in grado di esprimere i contenuti utili ad indicare la strada dello sviluppo, se solo se ne volesse ritrovare, anche in parte, l’autentico spirito originario.

Non si tratta qui di rivendicare nostalgiche posizioni stataliste, che risulterebbero sicuramente sorpassate, quanto piuttosto di dare concreto svolgimento a principi e concetti troppe volte rimasti tra parentesi[1] che molto hanno a che fare con la vocazione sociale della Carta repubblicana e che rivestono oggi una nuova drammatica attualità.

Si pensi alla tutela del lavoro (artt. 35 ss.), ai fini sociali dell’iniziativa economica (art. 41), alla funzione sociale della proprietà (art. 42), all’utilità generale di alcune categorie strategiche di imprese (art. 43), al valore del risparmio (art. 47), tutti elementi particolarmente in sofferenza nel panorama odierno, per oggettivi fattori contingenti (il virus, ad es.), ma anche e soprattutto per l’incapacità delle politiche pubbliche degli ultimi anni di individuare misure adeguate al mondo che cambia.

Ciascuno dei concetti appena evocati – tutt’ora muniti, giova ricordarlo, di piena validità (rectius, effettività) giuridica – costituisce, a suo modo, puntuale applicazione e declinazione dei principi di solidarietà (politica, economica e sociale) ed eguaglianza, rispettivamente dettati dagli artt. 2 e 3 Cost., che sono, com’è evidente, collocati alla base del nostro ordinamento costituzionale.

3. Tre decenni di privatizzazioni in senso ampio ci hanno consegnato uno scenario di totale “disarmo” del diritto[2] e del suo strumentario tradizionale, nel quale – quel che è più grave – si è andata smarrendo finanche quella fondamentale cultura[3] del pubblico sulla quale ci si formava un tempo nelle scuole, nelle università, nei partiti.

In uno scenario di desertificazione giuridica e culturale diviene certamente più difficile pensare di recuperare, proprio nel momento dell’emergenza, un ruolo attivo dei poteri pubblici, cui si era progressivamente ritenuto di ridurre, a tutti i livelli, i margini di operatività rispetto alle loro potenzialità originarie.

Lo svuotamento delle istituzioni pubbliche dei significati e delle missioni che rispettivamente competerebbero loro rischia di produrre, parafrasando il titolo di un famoso volume, un état sans le droit[4], ovvero un’istituzione spogliata di gran parte delle sue antiche prerogative, a tutto danno dei consociati, cui vengono a mancare in alcuni casi addirittura certi riferimenti elementari (pensiamo alla sicurezza pubblica, che credevamo ormai acquisita e che oggi, invece, si ripropone come urgenza assoluta)[5], come testimoniato dalle cronache quotidiane.

4. Invocare il primato del diritto sull’economia, come pure si è opportunamente sostenuto a più riprese in questi mesi, richiede un impegno radicale, rivolto innanzitutto a restituire alle istituzioni giuridiche il peso e la centralità perduti nel breve volgere di pochi decenni.

Non si può pensare di adottare decisioni cruciali, in grado di incidere con efficacia sulla situazione in corso, se non si ritiene di dare allo Stato nelle sue plurime articolazioni quel ruolo che costituzionalmente gli spetta.

Le recenti vicende americane insegnano, del resto, che le istituzioni democratiche non debbono essere date per scontate e necessitano, anzi, di essere costantemente innervate, perché si possa garantire un futuro sereno alla collettività.

Occorre ripartire dallo Stato e dalle sue funzioni fondamentali per rigenerare di continuo la tanto reclamata coesione sociale, ovvero quel senso di identificazione reciproca tra cittadini e istituzioni su cui deve costruirsi il nostro stare insieme.

Senza avere a cuore la realizzazione di questi presupposti, non si vede come si possa cercare in maniera credibile di regolare dei mercati sempre più ingovernabili, né tantomeno ipotizzare una rinascita verosimile, una volta terminata l’emergenza sanitaria.

C’è bisogno di politica (nel senso di assunzione di responsabilità e riattivazione dei processi decisionali democratici) e di scelte coraggiose che rimettano in discussione certe tendenze consolidate: le condizioni attuali, pur nella loro drammaticità, possono, se non altro, offrire un’occasione propizia – forse l’ultima – per correggere la rotta e scongiurare il rischio di un naufragio.

 

[1] Cfr. N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 2003, p. 25.

[2] A. Lucarelli, La democrazia dei beni comuni, Roma-Bari, 2013, p. 32 parla di «disarmo» del diritto pubblico.

[3] Nel senso ampio di Kultur.

[4] Il riferimento è a L. Cohen-Tanugi, Le droit sans l’État. Sur la démocratie en France et en Amérique, Paris, 1985.

[5] Cfr. A. Pace, Libertà e sicurezza. Cinquant’anni dopo, in Dir. soc. 2013, ora in A. Pace, Per la Costituzione. Scritti scelti, vol. II, Napoli, 2019, pp. 765 ss.

Commenti

  1. La ringrazio del commento e convengo con Lei sulla necessità, oggi più che mai, di rivedere i presupposti del rapporto tra Stato e mercato, come, nel mio piccolo, ho cercato di sostenere in questo breve scritto e come altri nell'ambito della Tribuna hanno detto meglio di me.
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  2. Una nuova strategia pubblica nell'economia mi sembra essenziale. I parametri costituzionali dell'economia rimangono invariati e la lucida interpretazione del contributo ci offre l'occasione per riflettere sulle relative potenzialita' e risorse ancora da impiegare nel futuro.
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